Psicologia Musicale - L'insegnante e il discente
La scienza afferma che già in epoca prenatale il feto reagisce agli stimoli sonori (es : rumori fisiologici e la voce materna), ciò significa che l’uomo ancor prima di venire al mondo è in rapporto col suono. Oggi la psicologia, nel nostro caso quella musicale, studia quali sono i meccanismi mentali che si attivano nel cervello durante tutte le esperienze di “eventi sonori” e quindi i meccanismi che hanno una ricaduta sull’apprendimento musicale. Si comincia a parlare di psicologia solo nella metà dell’800. Infatti sino a quel momento tutto ciò che riguardava la mente ed il pensiero era affidato alla filosofia. Negli anni ‘50 nasce con Neisser il “cognitivismo”, orientamento che cerca di capire i processi mentali interiori dell’individuo, diverso dal “comportamentismo” di Watson, orientamento predecessore, che si attiene ai comportamenti osservabili. Negli anni ‘70 i cognitivisti mettono in discussione il loro percorso, rendendosi conto che qualunque processo mentale si basa sull’esperienza concreta di individui di una determinata cultura e società, dando origine così all’area cognitiva. Chiunque, infatti, suona o ascolta musica ha a che fare con un continuo manifestarsi dei propri sentimenti. Diceva a tal proposito il professore Sloboda: <<la musica eleva il livello della nostra vita emotiva>>. Ecco perché a livello psicologico-cognitivo, un determinato brano può suscitare piacere ad un individuo o tristezza ad un altro. Questo rapporto di sensazione-emozione non ha un carattere unico al mondo, infatti un brano orientale poco allegro non è scontato che all’orecchio di un occidentale susciti tristezza, proprio perché provengono da due culture e tradizioni diverse. E’ in questo contesto che è possibile illustrare in che modo un insegnante può guidare l’alunno proprio nell’apprendimento musicale. Infatti nel percorso formativo del discente è possibile distinguere due fasi: l’acculturazione musicale e l’educazione musicale. La prima consiste in un apprendimento non formale (in famiglia, a casa ecc.), la seconda invece in un apprendimento scolarizzato con impostazioni didattico-pedagogiche. Questi due modi di apprendere fanno parte di una struttura articolata chiamata “ecosistema evolutivo”, dove l’allievo ha a che fare con il contesto storico, sociale e culturale: macrosistema; con la famiglia e con la scuola (microsistemi), con le relazioni tra la scuola, la famiglia e i coetanei (mesosistemi); ma anche con l’ambiente di lavoro dei genitori, con le famiglie degli insegnanti e dei compagni (ecosistemi). E’ importante che l’insegnante nel processo di apprendimento dell’alunno tenga conto dei tre meccanismi principali che si attivano durante l'ascolto della musica: la percezione, l’attenzione e la memoria. Riguardo la prima i suoni, infatti, non arrivano al nostro orecchio simultaneamente, ma quest’ultimo capta per primo quelli che si trovano nella stessa direzione sonora, questo fenomeno viene chiamato: “sincronia d’attacco”. Ascoltare, ad esempio, due persone che parlano contemporaneamente non è come parlare mentre si guida l'auto. Nel primo caso occorre rivolgere l’attenzione di uno stesso canale percettivo a due sorgenti differenti, cosa impossibile. Nel secondo caso risulta più praticabile dato che sfruttano due canali di attenzione diversi. Riguardo al secondo meccanismo, nella musica per porre attenzione ad una singola melodia-tema (nel caso di un brano polifonico ) i compositori utilizzano tutti gli elementi che per natura si percepiscono prima rispetto agli altri, ad esempio, la melodia viene affidata ad una sezione strumentale di tessitura più acuta o ad altri strumenti con timbro più particolare distinguibili tra gli altri strumenti che si muovono da sfondo. E’ chiaro, pertanto, che per un musicista professionista con l’orecchio allenato (orecchio selettivo) è più semplice poter distinguere e concentrarsi solo su uno strumento in un brano orchestrale. Infine nel terzo meccanismo, cioè la memoria, non per tutti i musicisti è semplice imparare a memoria un brano, infatti si distinguono due qualità di orecchio: relativo ed assoluto. Chi possiede un orecchio relativo, data una nota assoluta, è capace di costruire gli intervalli sopra e sottostanti e partendo da qualsiasi nota (entro i confini di udibilità) riesce a riportare qualsiasi melodia. Nel caso dell’orecchio assoluto, invece, il musicista che lo possiede, ha una capacità superiore di riconoscere le altezze assolute delle note e del loro nome. In Entrambi i casi l’insegnate deve di certo tener conto che ogni studente sviluppa un proprio percorso formativo durante gli anni. E’ chiaro che più c'è studio e allenamento più il risultato sarà migliore. Inoltre riguardo alla memoria, per imparare un brano, potendo approfittare anche dell’orecchio assoluto e relativo, ci sono altri metodi, per esempio: dividere in sezioni un brano. Frammentando il discorso musicale, infatti, si ottengono dei segmenti ed esercitandosi con una parte per volta risulta meno complesso memorizzare l’intero brano (che sia per piacere o per professione). Alla luce di questi meccanismi psicologici che hanno, come abbiamo visto, una ricaduta sull’apprendimento musicale dell’alunno, è bene sottolineare che, anche se da sempre la musica si è insegnata con metodi statici e rigidi, con l’arrivo della pedagogia e la psicologia ci si è resi conto che lo studio prima teorico e poi applicato alla pratica, quasi sempre, soprattutto nei nostri tempi, risulta poco accettabile da parte dei discenti (soprattutto i bambini), proprio perché queste due discipline ci hanno fatto capire che la musica prima di essere un sapere è anzitutto un’esperienza.
Commenti
Posta un commento